Il mito
Enea: il mito e la storia
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“Che cos’è il Mediterraneo? Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre”
(Fernand Braudel, Il Mediterraneo. Lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, 1985)
Il mito
Il mito del viaggio di Enea si avvia dall’abbandono di Troia distrutta dagli Achei e l’imbarco sulle navi verso Occidente dalle rive di Antandros, per proseguire attraverso il Mediterraneo, un mare già nell’antichità profondamente interconnesso e unificato, percorso da innumerevoli rotte di popoli e individui per i motivi più diversi, dalle guerre ai commerci, dalle carestie alle conquiste, fino alla ricerca di un nuovo futuro. Il mito di Enea è l’eco di un antichissimo Mediterraneo caratterizzato da vivace mobilità, da profondi cambiamenti insediativi, dalla rapida evoluzione dei sistemi sociali, e dal contatto –spesso violento – fra culture differenti, in un quadro molto distante dalla stabilità che si affermerà con l’impero romano.
Enea è dunque il simbolo dell’incontro fra mondi diversi, della rinuncia e del dolore, ma anche del destino e della speranza nel futuro.
Il mito di Enea nell’antichità
"Il fato ha stabilito che egli si salvi, affinché non perisca, sterile, annientata, la stirpe di Dardano… Ma sui Troiani ormai regnerà il potente Enea, e i figli dei suoi figli e quelli che poi nasceranno nell’avvenire”
(Iliade, XX, 302-308).
Il potente vaticinio è pronunciato da Poseidone, intervenendo a sottrarre da sicura morte Enea che ha sfidato a duello Achille, l’invincibile. La sorte di Troia è segnata, ma ad Enea, già da Omero nell’Iliade, è riservato un fato ben diverso. È da qui che prende l’avvio Virgilio, quando, nei primi versi dell’Eneide, lega il destino dell’eroe alla fondazione di Lavinium – e poi di Roma – ed al trasporto degli dei protettori di Troia – i Penati – nel Lazio.
Ma, dopo l’Iliade, la leggenda di Enea prosegue subito dopo: nell’inno omerico ad Afrodite, nei poemi del ciclo della “piccola Iliade”, dove però non si fa cenno ad una migrazione in Occidente, e infine negli storici greci e latini.
La letteratura latina comincia solo dal III secolo a.C. con Nevio e Ennio, che naturalmente già conoscono e sviluppano la leggenda troiana di Roma; ma ben la conoscevano i Greci, in particolare quelli di Magna Grecia e soprattutto di Sicilia, più attenti alle vicende d’Italia e di Roma. Fra questi Stesicoro di Imera in età arcaica, che ricorda che Enea è destinato a fondare una nuova Troia; poi, oltre a Sofocle, alla metà del V sec. a.C. Damaste di Sigeo, nella Troade, ed Ellanico di Lesbo, per i quali Enea giunge nel Lazio ed è il fondatore di Roma, fino allo storico della prima età ellenistica Timeo di Taormina e al tragediografo Licofrone, attivi nella prima parte del III sec. a.C. Purtroppo, di tutti questi autori ci sono pervenuti solo pochi preziosi frammenti.
Aiutano nella ricostruzione dello sviluppo e della diffusione del mito di Enea le immagini raffigurate sui reperti archeologici.
Tra i più antichi conosciamo in particolare alcuni vasi di produzione attica, datati grosso modo fra il 525 e il 460 a.C., sui quali compare la raffigurazione della fuga di Enea da Troia, con il padre Anchise che sta sulle spalle del figlio; infatti egli, secondo il mito, dopo aver promesso di tenere segreto l’incontro amoroso con la dea Venere, da cui era nato Enea, se ne era poi vantato, ubriaco, durante una festa e per questo era stato punito da Zeus con la paralisi. Questa iconografia prevale in ambito etrusco e in seguito in età imperiale romana.
Un altro gruppo di vasi, però, rappresenta Anchise che può camminare, ma è portato per mano da Enea poiché, secondo una diversa versione, era stato punito con la cecità; immagine che è presente anche su una delle metope del Partenone di Atene.
Questa documentazione archeologica dimostra che nel periodo classico Atene fa proprio il mito dei Troiani superstiti e lo fa in chiave positiva: sono i nemici tradizionali, ma ad essi è dovuto rispetto per le loro virtù. È questo il messaggio che Atene consacra in modo ufficiale, accogliendolo persino nel monumento principale della città, il Partenone, e che diffonde in Occidente attraverso l’esportazione dei suoi vasi con la raffigurazione di Enea e il padre invalido. Infatti, in realtà, piuttosto che di una vera “fuga” di Enea di nascosto dalla città, erano stati i Greci (Achei) che dopo la vittoria su Troia avevano concesso salva la vita ad Enea e ai suoi, nel rispetto di clausole di reciprocità e fiducia, di legami di ospitalità, e in virtù di diritti acquisiti in precedenza, grazie anche all’atteggiamento equilibrato di Enea e di Antenore (che infatti fugge anch’egli da Troia e giunge in Italia dove fonderà Padova), che erano stati fautori della restituzione di Elena.
La leggenda greca di Enea si diffonde in Occidente, sia in ambiente etrusco che in ambiente romano, ma non è facile spiegarne tappe e modalità.
I due filoni, etrusco e romano, troveranno una unificazione nell’opera di Virgilio: nel suo grandioso poema la vicenda dell’eroe troiano si svolge interamente e Virgilio trasforma la vicenda del profugo troiano nell’epopea della formazione dell’ Italia come unità ideologica prima ancora che etnica, l’Italia unita in una storia composita e intessuta di guerre.
Quel che in Virgilio è determinante, e fa apparire il viaggio di Enea non come una migrazione di esuli, ma un ritorno, un nostos vero e proprio, è la asserita provenienza dall’Italia di Dardano progenitore dei Troiani, in modo che tutte le loro traversie divengono la ricerca di una antiqua mater (secondo le parole della predizione dell’oracolo di Apollo a Delo), di una terra d’origine in cui tornare e per sempre ricollocare i sacri Penati di Dardano e di Troia.
Enea porta con sé i sacra di Troia, gli oggetti che simboleggiano i culti, le tradizioni, la vita stessa della città: il suo viaggio non ha lo scopo semplicemente di fondare una nuova città, ma piuttosto di trovare un luogo dove trasferire la propria patria.
Nell’Eneide il mito troiano si associa alla ideologia del principato: il pius Enea è progenitore di Cesare Augusto e la glorificazione del princeps è posta da Virgilio proprio in apertura del suo poema, laddove è Giove stesso che rassicura Venere del grandioso destino della stirpe del figlio, che avrà il dominio sugli Achei – i Greci – a suo tempo vincitori su Troia: la leggenda di Enea ormai legittima le conquiste di Roma.
Nel racconto di Dionigi di Alicarnasso, che scrive la sua opera subito dopo la morte di Virgilio (Antichità Romane, libro I, capitoli 45-64) e che è possibile conoscesse l’Eneide, la storia di Enea è leggermente diversa. Dopo aver descritto la fuga da Troia, l’autore dichiara di seguire il racconto di Ellanico di Lesbo, che tra tutte le fonti egli ritiene il più attendibile. Per Dionigi Enea con i suoi fa tappa ad Aineia, nella penisola calcidica, e a Delo; poi si ferma a Zacinto, compie il periplo dell’isola di Leucade e si inoltra nel golfo di Ambracia: lo storico greco, non legato – al contrario di Virgilio – alle necessità di propaganda augustea, non dà importanza alla sosta ad Azio. Con l’arrivo nel territorio laurentino e la fondazione di Lavinio, gli esuli Troiani, di ascendenza greca, si fondono con gli Aborigeni di Latino, che per Dionigi sono anch’essi di stirpe greca, originari dell’Arcadia; in tal modo lo storico vuole dimostrare la grecità delle origini di Roma.
Anche l’opera dello storico Tito Livio (59 a.C.-17 d.C.), Ab Urbe Condita, si apre con il racconto mitico dell’arrivo di Enea, fuggito da Troia al momento della conquista greca, sulle coste del Lazio, dove fonderà la città di Lavinio. Livio, senza nessun accenno a Cartagine e all’incontro con Didone, tanto importante nell’Eneide, conosce solo tre tappe del viaggio di Enea: la Macedonia, la Sicilia e infine il Lazio; altre divergenze con il racconto virgiliano sono poi nei fatti dopo lo sbarco e nel racconto della guerra contro i Rutuli.
È con il principato augusteo che la figura di Enea diventa una delle più pervasive nel mondo romano, non solo come personaggio semidivino, figlio di Venere, che sta alle origini di Roma, ma anche come modello ideale del cittadino romano, devoto agli dei e rispettoso della famiglia. Ed è per questo che l’iconografia del mito di Enea diventerà tema ricorrente sia nell’arte ufficiale, con le sue statue poste nel Foro di Augusto a Roma e nei fori delle città provinciali (come Merida, Cartagine, Colonia, Ilio e Afrodisia in Asia Minore), sia nell’ambito privato (negli oggetti di uso comune, negli affreschi delle case, nei monumenti funerari, ecc.).
Parti del gruppo scultoreo raffigurante Enea, Ascanio e Anchise dal foro Merida (Spagna), antica Augusta Emerita, capitale della Lusitania
(da Dardenay 2010)
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