Crete: Pergamea

CretE: Pergamea

“The sailors’ cries rose, as they competed in their various tasks: the crew shouted: “We’re headed for Crete, and our ancestors.” A wind rising astern sent us on our way, and at last we glided by the ancient shores of the Curetes. Then I worked eagerly on the walls of our chosen city, and called it Pergamum, and exhorted my people, delighting in the name, to show love for their homes, and build a covered fortress. Creta pergamea ”
(Eneid, III, 128-134) English prose by A.S. KLINE.

crete: pergamea

On the island of Delos the oracle of Apollo predicts to the Trojans: “seek the ancient mother”, the land from which you originate, the first cradle of the fathers; there the lineage of Aeneas, the heirs of his sons and the most distant grandchildren will live a dominion over the seas and infinite lands. Anchise then indicates Crete, an island sacred to Jupiter, because from there came their ancestor Teucro when, in a very distant time, prior to the foundation of Troy, he moved to the coast of Troas and chose them as his own new territory. The Phrygian goddess Cybele, to whom the Mount Ida in Troas was consecrated to, also came from Crete; king Idomeneo, an ancient Greek enemy who had participated in the siege of Troy, has now moved away from Crete The wind is favorable, the ships run fast: everything seems to promise a propitious accommodation on the island. Once in Crete, the Trojans begin the construction of the new city, which they called Pergamea (after the citadel of Troy), and start to think about the future. But suddenly a pestilence spreads that kills men and animals, the air corrupts and destroys crops. Aeneas and his companions are forced to abandon Crete and face the sea again. Unlike the Virgil tale, the historian Dionysius of Halicarnassus does not mention a passage of Aeneas in Crete: from Delos the Trojans head directly to Kythira, an island south of the Peloponnese. Archaeological research has not yet identified with certainty the mythical city of Pergamea, remembered not only by Virgil, but also by other ancient authors and geographers, such as Pseudo Scilace (Peripl. XLVII), Pliny the Elder (N.H. IV, 12), Plutarch (Lyc. XXXI) and Velleio Patercolo (Hist. 1, 1), which do not however relate it to the foundation of Aeneas, and according to which it was not far from Cydonia. However, at the end of the fourth century Servius, the late commentator of Virgil, confirms the foundation by the Trojans of a city “near Cydonia“. The latter, mentioned by the historian Diodorus Siculus (V, 78, 2), was located on the north-western coast of Crete, approximately in the area of present-day Chania.
Although the mythical tradition of the presence of the Trojans in Crete does not seem to have left evident archaeological or historical traces, as in other places touched by the route of Aeneas, a clue to the vitality of the legend of Aeneas in the island was seen in some coins of the fourth century B.C. of the city of Aptera (located on the coast just east of Chania), in which are depicted the goddess Aphrodite on the obverse and Aeneas on the reverse.

Approfondimenti

Informazioni aggiuntive

La città è strettamente legata al racconto del mitico viaggio di Enea, cantato da Virgilio nell’Eneide, come punto di arrivo dell’eroe troiano sulle coste laziali.
Secondo la tradizione ripresa da Virgilio, infatti, appena sbarcato Enea fece il primo sacrificio, in un luogo presso il fiume Numico (oggi Fosso di Pratica: Numico_1), dove poi sarebbe sorto un santuario dedicato a Sol Indiges. Inseguendo una scrofa bianca gravida, l’eroe percorse una distanza di 24 stadi: qui la scrofa partorì trenta piccoli e il prodigio offrì ad Enea un segno della volontà degli dei di fermarsi e fondare una nuova città. L’eroe incontrò Latino, il re della locale popolazione degli Aborigeni, il quale, dopo aver consultato un oracolo, capì che i nuovi arrivati non dovevano essere considerati degli invasori, ma come uomini amici da accogliere. Enea sposò dunque la figlia di Latino, Lavinia, e fondò la città di Lavinium, celebrando la nascita di un nuovo popolo, nato dalla fusione tra Troiani e Aborigeni: il popolo dei Latini. Il mito racconta che Enea non morì, ma scomparve in modo prodigioso tra le acque del fiume Numico e da questo evento fu onorato come Padre Indiges: Il padre capostipite.

La piazza pubblica della città aveva una pianta rettangolare, ornata sui lati lunghi da portici, su cui si aprivano diversi edifici: uno di questi aveva forse la funzione di “Augusteo”, luogo dedicato al culto imperiale, come sembra indicare il ritrovamento di splendidi ritratti degli imperatori Augusto, Tiberio e Claudio. Sul lato corto occidentale si affacciavano un edificio elevato su un podio, forse la Curia (luogo di riunione del governo locale), e un tempio, risalente ad età repubblicana.

Il santuario, situato ad est della città antica, era dedicato alla dea Minerva, che a Lavinium è dea guerriera, ma anche protettrice dei matrimoni e delle nascite. È stato trovato un enorme scarico di materiale votivo databile tra la fine del VII e gli inizi del III sec. a.C., costituito soprattutto da numerose statue in terracotta raffiguranti soprattutto offerenti, sia maschili che femminili, alcune a grandezza naturale, che donano alla divinità melograni, conigli, colombe, uova e soprattutto giocattoli: le offerte simboleggiano l’abbandono della fanciullezza e il passaggio all’età adulta attraverso il matrimonio


Eccezionale il ritrovamento di una statua della dea, armata di spada, elmo e scudo e affiancata da un Tritone, essere metà umano e metà pesce: questo elemento permettere di riconoscere nella raffigurazione la Minerva Tritonia venerata anche in Grecia, in Beozia, e ricordata da Viirgilio nell’Eneide (XI, 483): “armipotens, praeses belli, Tritonia virgo” (O dea della guerra, potente nelle armi, o vergine tritonia…)

Il culto del santuario meridionale nasce in età arcaica ed era caratterizzato da libagioni. Nella fase finale il culto si trasforma invece verso la richiesta di salute e guarigione, documentato dalle numerose offerte di ex voto anatomici. Sono state trovate iscrizioni di dedica che ricordano
Castore e Polluce (i Dioscuri) e la dea Cerere. La molteplicità degli altari e delle dediche è stata interpretata come testimonianza del carattere federale del culto, quindi legato al popolo latino nel suo insieme: ogni altare potrebbe forse rappresentare una delle città latine aderenti alla Lega Latina, confederazione che riuniva molte città del Latium Vetus, alleatesi per contrastare il predominio di Roma.

Dionigi di Alicarnasso, vissuto sotto il principato di Augusto, afferma di aver visto in questo luogo, ancora al suo tempo, nel I sec. a.C., due altari, il tempio dove erano stati posti gli dèi Penati portati da Troia e la tomba di Enea circondata da alberi: «Si tratta di un piccolo tumulo, intorno al quale sono stati posti file regolari di alberi, che vale la pena di vedere» (Ant. Rom. I, 64, 5)
Alba

Lavinium fu considerata anche il luogo delle origini del popolo romano: all’immagine di Roma nel momento della sua espansione e della crescita del suo potere era utile costruire una discendenza mitica da Enea, figlio di Venere, onorato per le sue virtù, per la capacità di assecondare gli dèi; di conseguenza si affermò anche la tradizione per la quale Romolo, il fondatore di Roma, aveva le sue origini, dopo quattro secoli, dalla medesima stirpe di Enea.
Secondo questa tradizione Ascanio Iulo, il figlio di Enea, aveva fondato Alba Longa, città posta presso l’attuale Albano, dando l’avvio a una dinastia, che serviva per colmare i quattrocento anni che separano le vicende di Enea (XII sec. a.C.) dalla fondazione di Roma (VIII se. a.C.), quando, dalla stessa stirpe, nacquero i gemelli Romolo e Remo, secondo la tradizione allattati da una lupa. Questi erano dunque i nipoti del re di Alba Longa. La madre era Rea Silvia e il padre il dio Marte. Romolo uccise Remo e poi fondò Roma nel 753 a.C. Lavinium diventava così la città sacra dei Romani, dove avevano sede i “sacri princìpi del popolo romano”.

Il Borgo sorge su una altura occupata nell’antichità dall’acropoli di Lavinium. In età imperiale vi sorge una domus, testimoniata da pavimenti in mosaico in bianco e nero (Borgo_1). Una civitas Pratica è ricordata per la prima volta in un documento del 1061, mentre nell’epoca successiva si parla di un castrum che fu di proprietà del Monastero di San Paolo fino al 1442. La Tenuta di Pratica di Mare, comprendente anche il Borgo, allora definito “Castello” (Borgo_2), divenne poi proprietà della famiglia Massimi e in seguito fu acquistata nel 1617 dai Borghese. Il principe Giovan Battista, nel tentativo di valorizzare il territorio con l’agricoltura, ristrutturò il villaggio nella forma che ancora oggi rimane, caratteristica per la sua pianta ortogonale e la sua unitarietà. Dalla metà dell’Ottocento la malaria, che devastava la campagna romana, causò lo spopolamento del borgo, finché Camillo Borghese dal 1880 si impegnò nell’opera di ricolonizzazione, restaurando il palazzo e intervenendo con una importante opera di riassetto della tenuta, dove fu impiantata una singolare vigna a pianta esagonale. Il Borgo e la tenuta rappresentano una preziosa area monumentale e agricola ancora intatta all’interno della zona degradata di Pomezia e Torvaianica.

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M.J. Delepierre, “Énèe en Crète”, in Revue Numismatique 14, 1972, pp. 7-20
R. Armstrong, “Crete in the “Aeneid”: Recurring Trauma and Alternative Fate”, in The Classical Quarterly 52, 1, 2002, pp. 321-340

INTRODUCTION

Pergamea is a stage in the journey of Aeneas wrapped in the fog of myth. According to the Virgil tale, the Trojans, following the oracle of Apollo, seek "the ancient mother" and believe that their destination is the island of Crete, home of their progenitor Dardano. Once there, they begin to build their new city, which they call Pergamea.

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