Troia
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STORIA
Troia, anche nota con il nome di Ilio, è una città dell’antica Asia Minore, situata nella attuale provincia turca di Çanakkale.
Il sito è celebre per l’aura mitica che accompagna la sua fondazione, ma soprattutto per il racconto della sua distruzione da parte dei Greci (Achei). Nell’Iliade di Omero, il primo poema epico d’Occidente, si narra, infatti, che gli Achei assediarono Troia per dieci anni, con lo scopo di riscattare la regina di Sparta, Elena, rapita dal principe troiano Paride. Dopo anni di battaglie tra eroi valorosi, Troia fu conquistata grazie un inganno architettato dal re acheo Ulisse: il celebre “cavallo di Troia”.
L’eco di Ilio e della sua caduta fu talmente vasta da rivestire un importante ruolo nella letteratura greca e, dal I secolo a.C., anche in quella latina. Fu sotto l’impero di Augusto, infatti, che il poeta Virgilio riprese il tema della caduta di Troia e scrisse di Enea, il principe troiano fuggito dalla patria in fiamme e diretto per mare verso il luogo dove, come stabilito dal fato, avrebbe fondato una delle città più grandi della storia: Roma.
La lettura del testo omerico, con le relative indicazioni geografiche, aveva spinto molti studiosi a cercare il sito di Troia, nella speranza di trovare una prova tangibile degli eventi raccontati nell’Iliade. Fu Heinrich Schliemann a capire per primo, nel 1871, che le strutture antiche rinvenute sulla collina di Hissarlik appartenevano a Troia. Ad aiutare lo studioso nel riconoscimento del sito fu proprio la lettura del passo dell’Iliade che racconta la fase iniziale del duello tra Ettore ed Achille, in cui è descritta la corsa che gli eroi fecero per tre volte attorno alle mura di Ilio. Schliemann verificò personalmente la fattibilità dell’impresa e ritenne verosimile che i due combattenti avessero percorso circa 15 km attorno a quella collina
La posizione di Troia, un ponte fra l’Europa e l’Asia
Approfondimenti
Informazioni aggiuntivePer saperne di più
R. Aslan, Troy. City of Mythology and Archaeology, Istanbul 2019
M. Korfmann, D.P. Mannsperger, Troia/Wilusa, 2013
La città è strettamente legata al racconto del mitico viaggio di Enea, cantato da Virgilio nell’Eneide, come punto di arrivo dell’eroe troiano sulle coste laziali.
Secondo la tradizione ripresa da Virgilio, infatti, appena sbarcato Enea fece il primo sacrificio, in un luogo presso il fiume Numico (oggi Fosso di Pratica: Numico_1), dove poi sarebbe sorto un santuario dedicato a Sol Indiges. Inseguendo una scrofa bianca gravida, l’eroe percorse una distanza di 24 stadi: qui la scrofa partorì trenta piccoli e il prodigio offrì ad Enea un segno della volontà degli dei di fermarsi e fondare una nuova città. L’eroe incontrò Latino, il re della locale popolazione degli Aborigeni, il quale, dopo aver consultato un oracolo, capì che i nuovi arrivati non dovevano essere considerati degli invasori, ma come uomini amici da accogliere. Enea sposò dunque la figlia di Latino, Lavinia, e fondò la città di Lavinium, celebrando la nascita di un nuovo popolo, nato dalla fusione tra Troiani e Aborigeni: il popolo dei Latini. Il mito racconta che Enea non morì, ma scomparve in modo prodigioso tra le acque del fiume Numico e da questo evento fu onorato come Padre Indiges: Il padre capostipite.
La piazza pubblica della città aveva una pianta rettangolare, ornata sui lati lunghi da portici, su cui si aprivano diversi edifici: uno di questi aveva forse la funzione di “Augusteo”, luogo dedicato al culto imperiale, come sembra indicare il ritrovamento di splendidi ritratti degli imperatori Augusto, Tiberio e Claudio. Sul lato corto occidentale si affacciavano un edificio elevato su un podio, forse la Curia (luogo di riunione del governo locale), e un tempio, risalente ad età repubblicana.
Il santuario, situato ad est della città antica, era dedicato alla dea Minerva, che a Lavinium è dea guerriera, ma anche protettrice dei matrimoni e delle nascite. È stato trovato un enorme scarico di materiale votivo databile tra la fine del VII e gli inizi del III sec. a.C., costituito soprattutto da numerose statue in terracotta raffiguranti soprattutto offerenti, sia maschili che femminili, alcune a grandezza naturale, che donano alla divinità melograni, conigli, colombe, uova e soprattutto giocattoli: le offerte simboleggiano l’abbandono della fanciullezza e il passaggio all’età adulta attraverso il matrimonio
Eccezionale il ritrovamento di una statua della dea, armata di spada, elmo e scudo e affiancata da un Tritone, essere metà umano e metà pesce: questo elemento permettere di riconoscere nella raffigurazione la Minerva Tritonia venerata anche in Grecia, in Beozia, e ricordata da Viirgilio nell’Eneide (XI, 483): “armipotens, praeses belli, Tritonia virgo” (O dea della guerra, potente nelle armi, o vergine tritonia…)
Il culto del santuario meridionale nasce in età arcaica ed era caratterizzato da libagioni. Nella fase finale il culto si trasforma invece verso la richiesta di salute e guarigione, documentato dalle numerose offerte di ex voto anatomici. Sono state trovate iscrizioni di dedica che ricordano
Castore e Polluce (i Dioscuri) e la dea Cerere. La molteplicità degli altari e delle dediche è stata interpretata come testimonianza del carattere federale del culto, quindi legato al popolo latino nel suo insieme: ogni altare potrebbe forse rappresentare una delle città latine aderenti alla Lega Latina, confederazione che riuniva molte città del Latium Vetus, alleatesi per contrastare il predominio di Roma.
Dionigi di Alicarnasso, vissuto sotto il principato di Augusto, afferma di aver visto in questo luogo, ancora al suo tempo, nel I sec. a.C., due altari, il tempio dove erano stati posti gli dèi Penati portati da Troia e la tomba di Enea circondata da alberi: «Si tratta di un piccolo tumulo, intorno al quale sono stati posti file regolari di alberi, che vale la pena di vedere» (Ant. Rom. I, 64, 5)
Alba
Lavinium fu considerata anche il luogo delle origini del popolo romano: all’immagine di Roma nel momento della sua espansione e della crescita del suo potere era utile costruire una discendenza mitica da Enea, figlio di Venere, onorato per le sue virtù, per la capacità di assecondare gli dèi; di conseguenza si affermò anche la tradizione per la quale Romolo, il fondatore di Roma, aveva le sue origini, dopo quattro secoli, dalla medesima stirpe di Enea.
Secondo questa tradizione Ascanio Iulo, il figlio di Enea, aveva fondato Alba Longa, città posta presso l’attuale Albano, dando l’avvio a una dinastia, che serviva per colmare i quattrocento anni che separano le vicende di Enea (XII sec. a.C.) dalla fondazione di Roma (VIII se. a.C.), quando, dalla stessa stirpe, nacquero i gemelli Romolo e Remo, secondo la tradizione allattati da una lupa. Questi erano dunque i nipoti del re di Alba Longa. La madre era Rea Silvia e il padre il dio Marte. Romolo uccise Remo e poi fondò Roma nel 753 a.C. Lavinium diventava così la città sacra dei Romani, dove avevano sede i “sacri princìpi del popolo romano”.
Il Borgo sorge su una altura occupata nell’antichità dall’acropoli di Lavinium. In età imperiale vi sorge una domus, testimoniata da pavimenti in mosaico in bianco e nero (Borgo_1). Una civitas Pratica è ricordata per la prima volta in un documento del 1061, mentre nell’epoca successiva si parla di un castrum che fu di proprietà del Monastero di San Paolo fino al 1442. La Tenuta di Pratica di Mare, comprendente anche il Borgo, allora definito “Castello” (Borgo_2), divenne poi proprietà della famiglia Massimi e in seguito fu acquistata nel 1617 dai Borghese. Il principe Giovan Battista, nel tentativo di valorizzare il territorio con l’agricoltura, ristrutturò il villaggio nella forma che ancora oggi rimane, caratteristica per la sua pianta ortogonale e la sua unitarietà. Dalla metà dell’Ottocento la malaria, che devastava la campagna romana, causò lo spopolamento del borgo, finché Camillo Borghese dal 1880 si impegnò nell’opera di ricolonizzazione, restaurando il palazzo e intervenendo con una importante opera di riassetto della tenuta, dove fu impiantata una singolare vigna a pianta esagonale. Il Borgo e la tenuta rappresentano una preziosa area monumentale e agricola ancora intatta all’interno della zona degradata di Pomezia e Torvaianica.
IN BREVE
Il sito archeologico di Troia è il luogo dove storia e mito si fondono. Secondo la tradizione letteraria, il principe troiano Enea riuscì a fuggire dalla città, incendiata dai Greci dopo dieci anni di assedio, dando inizio al suo viaggio verso l’Italia. Troia è particolarmente famosa per il racconto omerico della guerra e della sua distruzione, che sarebbe avvenuta all’inizio del XII sec. a.C., ma in realtà essa ebbe un’esistenza lunghissima che supera i 4000 anni di storia. Visitare il parco archeologico significa attraversare tutta la vita di una città straordinaria, patria di eroi e grandi re, divenuta “Patrimonio Mondiale dell’Umanità” dal 1998.
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