Etna – Scogli dei Ciclopi

etna e gli scogli dei ciclopi

“Frattanto il vento e il sole ci lasciano stanchi, e ignari della rotta arriviamo alle spiagge dei Ciclopi. il porto, al riparo dei venti, è immoto e vasto; ma accanto l'Etna tuona di orrende rovine, e talvolta vomita nel cielo una nera nube, fumante d'un turbine di pece e di ardenti faville, e solleva globi di fiamme e lambisce le stelle talvolta scaglia eruttando rocce e divelte viscere del monte, e agglomera con un mugghio nell'aria pietre liquefatte, e ribolle dall'infimo fondo.”
Eneide, III, 568-577
Partiti da Castrum Minervae i troiani attraversano il golfo di Taranto, passano davanti al santuario di Hera Lacinia (oggi Capo Colonna in Calabria) e arrivano a Cariddi, dove riescono a sfuggire al pericoloso vortice. La sera, affaticati e ignari, sbarcano sul lido dei Ciclopi, dominato dalla massiccia e minacciosa mole dell’Etna. Fosche nubi di fumo preannunciano che il vulcano è in eruzione: rifugiati in un bosco Enea e i compagni assistono al grandioso spettacolo del monte che, fra sinistri boati, si scuote e vomita lava infuocata.
Etna
Al’alba i troiani incontrano un uomo terrorizzato e coperto di stracci: è il greco Achemenide, dimenticato in quel luogo da Ulisse nella furia della partenza. L’uomo, rievocando la mostruosa crudeltà di Polifemo, esorta i troiani a fuggire. E infatti il Ciclope appare, gigantesco e orribile, con l’unica occhiaia vuota e sanguinante: Enea e i suoi si precipitano alle navi, portando con sé Achemenide, e in preda allo spavento prendono il largo.
Polifemo, particolare di un mosaico della villa del Casale a Piazza Armerina (Enna).
(foto Roberto Gianninò: robertogiannino.blogspot.com)

Isole dei Ciclopi

Le isole dei Ciclopi sono un piccolo arcipelago situato di fronte ad Acitrezza (comune di Aci Castello, prov. di Catania), sito di particolare pregio naturalistico compreso nell’Area Marina Protetta “Isole dei Ciclopi”. È composto da tre isolotti principali e da alcuni scogli che, secondo la leggenda, sarebbero i massi scagliati da Polifemo, accecato, contro Ulisse ed i suoi compagni in fuga (si rinvia a http://www.geositidisicilia.it/; www.comune.acicastello.ct.it ).

Scogli dei Ciclopi
Isola Lache e Faraglioni

l’etna

Il vulcano Etna, con il suo inconfondibile profilo contro l’azzurro del cielo, fa parte dell’immaginario collettivo quando si pensa alla Sicilia. Questo rilievo isolato, che domina la Piana di Catania, è stato dichiarato Patrimonio Unesco nel 2013 e svetta con un’altezza di circa 3350m s.l.m sui 19.237 ettari di Parco che lo circondano.
Etna
Le frequenti eruzioni del vulcano – a’ Muntagna, come la chiamano confidenzialmente i catanesi – sono spettacolari, oltre che temibili, e fanno sì che mamma Etna sia amata e temuta allo stesso tempo. Meta turistica molto amata da turisti italiani e stranieri, il parco ha delle caratteristiche del tutto uniche e differenziate dagli ambienti circostanti, per condizioni geografiche e climatiche, morfologiche e geologiche e offre paesaggi molto vari: la fascia pedemontana, detta anche delle “sorgive”, dal livello del mare fino a quota 600 m, è caratterizzata da pendii abbastanza dolci; la zona boschiva, fino a quota 1900-2000m presenta pendii irregolari e più accentuati, ed infine la regione desertica alle quote più elevate del vulcano, è caratterizzata da pendii piuttosto ripidi che culminano in maniera concentrica nel cratere centrale ed in quello NE. In corrispondenza delle colate laviche recenti il paesaggio ha un aspetto aspro ed irregolare; nella fascia pedemontana invece il terreno frutto di fenomeni eruttivi più antichi ha un andamento più dolce e mostra una rigogliosa vegetazione.
Etna

zona pedemontana

La zona abitata giunge fino ai 900 metri, mentre le zone coltivate e boschive arrivano fin oltre i 1500 metri. La presenza dell’uomo ha, purtroppo, notevolmente alterato i precari equilibri originari a discapito di ambienti naturali, come le estese foreste pedemontane, le zone umide e le zone costiere, contribuendo così alla scomparsa di una flora assai particolare e significativa, oggi non più presente. L’Etna comprende 13 Siti della rete Natura 2000, di cui alla Direttiva habitat 92/43/CEE e ricade interamente nel Parco regionale dell’ETNA, istituito con Decreto del Presidente della Regione del 17 marzo del 1987. Con i suoi 59000 ettari il Parco ha il compito primario di proteggere un ambiente naturale unico e lo straordinario paesaggio che circonda il vulcano attivo più alto d’Europa e di promuovere lo sviluppo ecocompatibile delle popolazioni e delle comunità locali. (http://www.parcoetna.it/)

zona boschiva

A queste quote sono molto diffusi i boschi di Betula aetnensis e di Pinus nigra ssp. calabrica sugli affioramenti rocciosi, mentre meno frequenti sono le faggete extrazonali e le formazioni a Populus tremula. A quote più basse si rinvengono boschi decidui a Quercus cerris o a Quercus congesta. Sulle sciare vulcaniche e nei campi lavici si osservano aspetti di vegetazione pioniera a piccoli arbusti o boscaglie a Genista aetnensis.
Pinus nigra ssp calabrica

Approfondimenti

Informazioni aggiuntive

regione desertica

Nella parte cacuminale dell’Etna, compresa tra 1800 e 3300 m, il territorio presenta condizioni difficili per la vegetazione, essendo caratterizzato dalla estrema aridità estiva, dalle temperature rigide dell’inverno accompagnate da lunghi periodi di innevamento (fra la prima metà del periodo autunnale e la prima metà di quello primaverile), e dalle frequenti eruzioni vulcaniche. Tra i 2000 e i 2700 m circa sulle superfici non interessate da colate laviche recenti si instaura una vegetazione orofila piuttosto rada (Anthemis aetnensis e Rumex aetnensis) mentre a quote inferiori frammisti agli astragaleti nelle stazioni più rocciose si rinvengono arbusteti nani di Juniperus hemisphaerica e Berberis aetnensis.

La città è strettamente legata al racconto del mitico viaggio di Enea, cantato da Virgilio nell’Eneide, come punto di arrivo dell’eroe troiano sulle coste laziali.
Secondo la tradizione ripresa da Virgilio, infatti, appena sbarcato Enea fece il primo sacrificio, in un luogo presso il fiume Numico (oggi Fosso di Pratica: Numico_1), dove poi sarebbe sorto un santuario dedicato a Sol Indiges. Inseguendo una scrofa bianca gravida, l’eroe percorse una distanza di 24 stadi: qui la scrofa partorì trenta piccoli e il prodigio offrì ad Enea un segno della volontà degli dei di fermarsi e fondare una nuova città. L’eroe incontrò Latino, il re della locale popolazione degli Aborigeni, il quale, dopo aver consultato un oracolo, capì che i nuovi arrivati non dovevano essere considerati degli invasori, ma come uomini amici da accogliere. Enea sposò dunque la figlia di Latino, Lavinia, e fondò la città di Lavinium, celebrando la nascita di un nuovo popolo, nato dalla fusione tra Troiani e Aborigeni: il popolo dei Latini. Il mito racconta che Enea non morì, ma scomparve in modo prodigioso tra le acque del fiume Numico e da questo evento fu onorato come Padre Indiges: Il padre capostipite.

La piazza pubblica della città aveva una pianta rettangolare, ornata sui lati lunghi da portici, su cui si aprivano diversi edifici: uno di questi aveva forse la funzione di “Augusteo”, luogo dedicato al culto imperiale, come sembra indicare il ritrovamento di splendidi ritratti degli imperatori Augusto, Tiberio e Claudio. Sul lato corto occidentale si affacciavano un edificio elevato su un podio, forse la Curia (luogo di riunione del governo locale), e un tempio, risalente ad età repubblicana.

Il santuario, situato ad est della città antica, era dedicato alla dea Minerva, che a Lavinium è dea guerriera, ma anche protettrice dei matrimoni e delle nascite. È stato trovato un enorme scarico di materiale votivo databile tra la fine del VII e gli inizi del III sec. a.C., costituito soprattutto da numerose statue in terracotta raffiguranti soprattutto offerenti, sia maschili che femminili, alcune a grandezza naturale, che donano alla divinità melograni, conigli, colombe, uova e soprattutto giocattoli: le offerte simboleggiano l’abbandono della fanciullezza e il passaggio all’età adulta attraverso il matrimonio


Eccezionale il ritrovamento di una statua della dea, armata di spada, elmo e scudo e affiancata da un Tritone, essere metà umano e metà pesce: questo elemento permettere di riconoscere nella raffigurazione la Minerva Tritonia venerata anche in Grecia, in Beozia, e ricordata da Viirgilio nell’Eneide (XI, 483): “armipotens, praeses belli, Tritonia virgo” (O dea della guerra, potente nelle armi, o vergine tritonia…)

Il culto del santuario meridionale nasce in età arcaica ed era caratterizzato da libagioni. Nella fase finale il culto si trasforma invece verso la richiesta di salute e guarigione, documentato dalle numerose offerte di ex voto anatomici. Sono state trovate iscrizioni di dedica che ricordano
Castore e Polluce (i Dioscuri) e la dea Cerere. La molteplicità degli altari e delle dediche è stata interpretata come testimonianza del carattere federale del culto, quindi legato al popolo latino nel suo insieme: ogni altare potrebbe forse rappresentare una delle città latine aderenti alla Lega Latina, confederazione che riuniva molte città del Latium Vetus, alleatesi per contrastare il predominio di Roma.

Dionigi di Alicarnasso, vissuto sotto il principato di Augusto, afferma di aver visto in questo luogo, ancora al suo tempo, nel I sec. a.C., due altari, il tempio dove erano stati posti gli dèi Penati portati da Troia e la tomba di Enea circondata da alberi: «Si tratta di un piccolo tumulo, intorno al quale sono stati posti file regolari di alberi, che vale la pena di vedere» (Ant. Rom. I, 64, 5)
Alba

Lavinium fu considerata anche il luogo delle origini del popolo romano: all’immagine di Roma nel momento della sua espansione e della crescita del suo potere era utile costruire una discendenza mitica da Enea, figlio di Venere, onorato per le sue virtù, per la capacità di assecondare gli dèi; di conseguenza si affermò anche la tradizione per la quale Romolo, il fondatore di Roma, aveva le sue origini, dopo quattro secoli, dalla medesima stirpe di Enea.
Secondo questa tradizione Ascanio Iulo, il figlio di Enea, aveva fondato Alba Longa, città posta presso l’attuale Albano, dando l’avvio a una dinastia, che serviva per colmare i quattrocento anni che separano le vicende di Enea (XII sec. a.C.) dalla fondazione di Roma (VIII se. a.C.), quando, dalla stessa stirpe, nacquero i gemelli Romolo e Remo, secondo la tradizione allattati da una lupa. Questi erano dunque i nipoti del re di Alba Longa. La madre era Rea Silvia e il padre il dio Marte. Romolo uccise Remo e poi fondò Roma nel 753 a.C. Lavinium diventava così la città sacra dei Romani, dove avevano sede i “sacri princìpi del popolo romano”.

Il Borgo sorge su una altura occupata nell’antichità dall’acropoli di Lavinium. In età imperiale vi sorge una domus, testimoniata da pavimenti in mosaico in bianco e nero (Borgo_1). Una civitas Pratica è ricordata per la prima volta in un documento del 1061, mentre nell’epoca successiva si parla di un castrum che fu di proprietà del Monastero di San Paolo fino al 1442. La Tenuta di Pratica di Mare, comprendente anche il Borgo, allora definito “Castello” (Borgo_2), divenne poi proprietà della famiglia Massimi e in seguito fu acquistata nel 1617 dai Borghese. Il principe Giovan Battista, nel tentativo di valorizzare il territorio con l’agricoltura, ristrutturò il villaggio nella forma che ancora oggi rimane, caratteristica per la sua pianta ortogonale e la sua unitarietà. Dalla metà dell’Ottocento la malaria, che devastava la campagna romana, causò lo spopolamento del borgo, finché Camillo Borghese dal 1880 si impegnò nell’opera di ricolonizzazione, restaurando il palazzo e intervenendo con una importante opera di riassetto della tenuta, dove fu impiantata una singolare vigna a pianta esagonale. Il Borgo e la tenuta rappresentano una preziosa area monumentale e agricola ancora intatta all’interno della zona degradata di Pomezia e Torvaianica.

Etna
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IN BREVE

Il vulcano Etna riunisce in sé diversi miti – la ninfa Etna era figlia di Urano e Gea (il cielo e la terra) e amante del dio del fuoco Efesto - e con la sua lava scura, la vetta minacciosa e i lapilli rossastri accende da sempre la fantasia e ispira leggende affascinanti. Nel caso dell’Eneide, così come in precedenza anche nel celebre canto dell’Odissea, il vulcano è lo sfondo del lido dei Ciclopi, i mostruosi giganti con un solo occhio che anche Enea ha la sventura di incontrare.

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