Castro
Castro
la scoperta
Molti sono i luoghi della costa pugliese nei quali si è voluto riconoscere in passato il primo approdo di Enea in Italia. L’identificazione del sito di Castro con Castrum Minervae, prima noto soltanto dalle testimonianze letterarie, è ora certa, grazie alle ricerche dell’Università del Salento, dirette da Francesco D’Andria e sostenute dall’Amministrazione Comunale; avviate a partire dal 2000, hanno portato alla scoperta del celebre santuario di Atena sul Capo iapigio, chiarendone il complesso e prolungato sviluppo cronologico.
Il territorio di Castro ha restituito importanti testimonianze di vita fin dalla preistoria più antica, risalenti al Paleolitico, nelle grotte dette Romanelli e Zinzulusa. All’età del Bronzo risale invece l’abitato scoperto in località Palombara, situato su un pianoro costiero ai piedi di Castro.
Oltre che da Virgilio nell’Eneide, la città di Castrum Minervae è citata dall’erudito Varrone (apud Ps. Prob. Ad Verg. Ecl.VI 32), che ne ricorda la fondazione ad opera di Idomeneo, re di Creta, reduce dalla guerra di Troia combattuta a fianco dei greci.
Le ricerche archeologiche si sono concentrate in un’area del centro storico miracolosamente scampata alle costruzioni moderne, all’interno del bastione angolare delle fortificazioni spagnole. Qui sono venute in luce le testimonianze del più antico insediamento iapigio sulla rocca, risalente all’età del Ferro (VIII sec. a.C.), quando esiste già un luogo di culto. Inoltre, sono state scoperte le mura del centro messapico di età ellenistica (IV sec. a.C.), sulle quali in seguito si impostarono prima quelle medievali, poi quelle di età spagnola della seconda metà del Cinquecento.
Il primo impianto difensivo (fase I) fu presto ampliato, verso la metà del III sec. a.C. (fase II), realizzando un terrazzamento, sostenuto da grandi vani a pianta quadrata, destinato alle manovre dei soldati e delle macchine da guerra; inoltre davanti alla porta di accesso all’abitato fu creato un ingresso “a imbuto”, simile ad altre coeve fortificazioni del Salento. Un ulteriore intervento di ampliamento risale al secolo successivo (fase III: metà del II sec. a.C.), quando l’accesso alla porta fu trasformato in un vero corridoio, stretto e lungo più di 20 metri, che era reso percorribile da un tavolato ligneo, una sorta di ponte che permetteva di superare il forte dislivello fra l’esterno e l’interno, dove si trovava il santuario. L’intervento, successivo alla conquista romana del Salento, si colloca in un momento di riorganizzazione militare in un’area di grande importanza strategica, proprio all’ingresso dell’Adriatico.
Approfondimenti
Informazioni aggiuntiveLa città è strettamente legata al racconto del mitico viaggio di Enea, cantato da Virgilio nell’Eneide, come punto di arrivo dell’eroe troiano sulle coste laziali.
Secondo la tradizione ripresa da Virgilio, infatti, appena sbarcato Enea fece il primo sacrificio, in un luogo presso il fiume Numico (oggi Fosso di Pratica: Numico_1), dove poi sarebbe sorto un santuario dedicato a Sol Indiges. Inseguendo una scrofa bianca gravida, l’eroe percorse una distanza di 24 stadi: qui la scrofa partorì trenta piccoli e il prodigio offrì ad Enea un segno della volontà degli dei di fermarsi e fondare una nuova città. L’eroe incontrò Latino, il re della locale popolazione degli Aborigeni, il quale, dopo aver consultato un oracolo, capì che i nuovi arrivati non dovevano essere considerati degli invasori, ma come uomini amici da accogliere. Enea sposò dunque la figlia di Latino, Lavinia, e fondò la città di Lavinium, celebrando la nascita di un nuovo popolo, nato dalla fusione tra Troiani e Aborigeni: il popolo dei Latini. Il mito racconta che Enea non morì, ma scomparve in modo prodigioso tra le acque del fiume Numico e da questo evento fu onorato come Padre Indiges: Il padre capostipite.
La piazza pubblica della città aveva una pianta rettangolare, ornata sui lati lunghi da portici, su cui si aprivano diversi edifici: uno di questi aveva forse la funzione di “Augusteo”, luogo dedicato al culto imperiale, come sembra indicare il ritrovamento di splendidi ritratti degli imperatori Augusto, Tiberio e Claudio. Sul lato corto occidentale si affacciavano un edificio elevato su un podio, forse la Curia (luogo di riunione del governo locale), e un tempio, risalente ad età repubblicana.
Il santuario, situato ad est della città antica, era dedicato alla dea Minerva, che a Lavinium è dea guerriera, ma anche protettrice dei matrimoni e delle nascite. È stato trovato un enorme scarico di materiale votivo databile tra la fine del VII e gli inizi del III sec. a.C., costituito soprattutto da numerose statue in terracotta raffiguranti soprattutto offerenti, sia maschili che femminili, alcune a grandezza naturale, che donano alla divinità melograni, conigli, colombe, uova e soprattutto giocattoli: le offerte simboleggiano l’abbandono della fanciullezza e il passaggio all’età adulta attraverso il matrimonio
Eccezionale il ritrovamento di una statua della dea, armata di spada, elmo e scudo e affiancata da un Tritone, essere metà umano e metà pesce: questo elemento permettere di riconoscere nella raffigurazione la Minerva Tritonia venerata anche in Grecia, in Beozia, e ricordata da Viirgilio nell’Eneide (XI, 483): “armipotens, praeses belli, Tritonia virgo” (O dea della guerra, potente nelle armi, o vergine tritonia…)
Il culto del santuario meridionale nasce in età arcaica ed era caratterizzato da libagioni. Nella fase finale il culto si trasforma invece verso la richiesta di salute e guarigione, documentato dalle numerose offerte di ex voto anatomici. Sono state trovate iscrizioni di dedica che ricordano
Castore e Polluce (i Dioscuri) e la dea Cerere. La molteplicità degli altari e delle dediche è stata interpretata come testimonianza del carattere federale del culto, quindi legato al popolo latino nel suo insieme: ogni altare potrebbe forse rappresentare una delle città latine aderenti alla Lega Latina, confederazione che riuniva molte città del Latium Vetus, alleatesi per contrastare il predominio di Roma.
Dionigi di Alicarnasso, vissuto sotto il principato di Augusto, afferma di aver visto in questo luogo, ancora al suo tempo, nel I sec. a.C., due altari, il tempio dove erano stati posti gli dèi Penati portati da Troia e la tomba di Enea circondata da alberi: «Si tratta di un piccolo tumulo, intorno al quale sono stati posti file regolari di alberi, che vale la pena di vedere» (Ant. Rom. I, 64, 5)
Alba
Lavinium fu considerata anche il luogo delle origini del popolo romano: all’immagine di Roma nel momento della sua espansione e della crescita del suo potere era utile costruire una discendenza mitica da Enea, figlio di Venere, onorato per le sue virtù, per la capacità di assecondare gli dèi; di conseguenza si affermò anche la tradizione per la quale Romolo, il fondatore di Roma, aveva le sue origini, dopo quattro secoli, dalla medesima stirpe di Enea.
Secondo questa tradizione Ascanio Iulo, il figlio di Enea, aveva fondato Alba Longa, città posta presso l’attuale Albano, dando l’avvio a una dinastia, che serviva per colmare i quattrocento anni che separano le vicende di Enea (XII sec. a.C.) dalla fondazione di Roma (VIII se. a.C.), quando, dalla stessa stirpe, nacquero i gemelli Romolo e Remo, secondo la tradizione allattati da una lupa. Questi erano dunque i nipoti del re di Alba Longa. La madre era Rea Silvia e il padre il dio Marte. Romolo uccise Remo e poi fondò Roma nel 753 a.C. Lavinium diventava così la città sacra dei Romani, dove avevano sede i “sacri princìpi del popolo romano”.
Il Borgo sorge su una altura occupata nell’antichità dall’acropoli di Lavinium. In età imperiale vi sorge una domus, testimoniata da pavimenti in mosaico in bianco e nero (Borgo_1). Una civitas Pratica è ricordata per la prima volta in un documento del 1061, mentre nell’epoca successiva si parla di un castrum che fu di proprietà del Monastero di San Paolo fino al 1442. La Tenuta di Pratica di Mare, comprendente anche il Borgo, allora definito “Castello” (Borgo_2), divenne poi proprietà della famiglia Massimi e in seguito fu acquistata nel 1617 dai Borghese. Il principe Giovan Battista, nel tentativo di valorizzare il territorio con l’agricoltura, ristrutturò il villaggio nella forma che ancora oggi rimane, caratteristica per la sua pianta ortogonale e la sua unitarietà. Dalla metà dell’Ottocento la malaria, che devastava la campagna romana, causò lo spopolamento del borgo, finché Camillo Borghese dal 1880 si impegnò nell’opera di ricolonizzazione, restaurando il palazzo e intervenendo con una importante opera di riassetto della tenuta, dove fu impiantata una singolare vigna a pianta esagonale. Il Borgo e la tenuta rappresentano una preziosa area monumentale e agricola ancora intatta all’interno della zona degradata di Pomezia e Torvaianica.
Per saperne di più
F. D’Andria (a cura di), Castrum Minervae, Galatina 2009
F. D’Andria, “Scavi e scoperte a Castro (2014-2015)”, in Produzioni e committenze in Magna Graecia, Atti del 55° Convegno di Studi sulla Magna Graecia, Taranto 2015, Taranto 2019, pp. 799-807
IN BREVE
Castro costituisce il primo approdo in Italia dei troiani, descritto con enfasi nel libro III dell’Eneide, con dettagli sull’aspetto del porto e della costa. Gli scavi archeologici recenti hanno permesso di identificare a Castro un santuario di Athena Iliaca, da identificare con quello di cui parla Virgilio. Le straordinarie ricchezze artistiche, esposte nel locale Museo Archeologico, appaiono in stretta relazione con la colonia greca di Taranto.
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