Butrinto

butrinto

[Subito vediamo sparire le aeree rocche dei Feaci]; costeggiamo le spiagge dell’Epiro ed entriamo nel porto caonio e ci avviciniamo all’alta città di Butroto
(Virgilio, Eneide III, vv. 291-293)

IL RACCONTO EPICO

Nell’Eneide (III, 291-293) Virgilio attribuisce la fondazione dell’antica Buthrotum a troiani fuggitivi; la notizia è confermata dallo storico greco Dionigi di Alicarnasso, suo contemporaneo, in “Antichità romane” (I, 42). Sbarcato dalla nave, Enea scopre che l’indovino e guerriero Eleno, figlio di Priamo, regna sulla città, dopo aver preso lo scettro e la sposa a Neottolemo, figlio dell’eroico Achille: Andromaca, vedova del valoroso Ettore, è dunque passata a nuove nozze ed Enea la incontra per caso mentre in un bosco dinanzi alla città la donna celebra riti funebri sul cenotafio del defunto marito.
Entrando nelle mura, pronuncia commosso: “Saluto una piccola Troia e una Pergamo che imita la grande” (vv. 349-350). Nella breve ma decisiva sosta a Butrinto, attraverso Eleno che interroga Apollo, Enea riceve un vaticinio favorevole per il suo viaggio verso l’Italia. La città si rivela dunque fondamentale nel cammino verso la fondazione di Roma.

la scoperta

La “riscoperta” di Butrinto si deve all’attività instancabile di Luigi Maria Ugolini, giovane archeologo che, analogamente a quanto fece Schliemann con i poemi omerici alla ricerca di Troia, nel 1927 si mise alla ricerca della virgiliana Buthrotum: gli scavi, condotti dalla missione archeologica italiana dal 1927 al 1940, riguardarono l’acropoli e la parte più alta della città, perché nei livelli più bassi le acque rendevano le esplorazioni difficili, se non impossibili.

i luoghi e la storia

La città è situata lungo la costa della moderna Albania, nella parte settentrionale dell’Epiro antico, conosciuta con il toponimo di Caonia, oggi quasi al confine con la Grecia. I suoi resti si distribuiscono su una bassa collinetta inserita in un contesto lagunare di fronte all’isola di Corfù, un tempo Corcira, distante appena 6 km. Le rovine, sebbene in parte periodicamente sommerse dalle acque, si integrano con una cornice naturalistica incontaminata di forte suggestione. Diversamente dalla versione letteraria, nella realtà storica non ci sarebbe stata una vera e propria fondazione, ma un lento processo di formazione: è probabile quindi che fin dall’inizio e per tutta l’età arcaica e classica Buthrotos abbia gravitato nella sfera di Corfù, senza una identità politica ben definita. Lo confermano da una parte il vasellame di produzione corinzia, probabilmente prodotto proprio a Corfù, rinvenuto sull’acropoli e databile a partire dal VII sec. a.C. e, dall’altra, l’assenza di strutture archeologiche riconducibili a un’organizzazione urbana. Sembra che l’insediamento abbia raggiunto un livello di indipendenza politica solo III a.C., quando nei documenti compare il toponimo Bouthrotos in virtù del suo antico legame con il culto di Esculapio. Soltanto dal II sec. a.C. Butrinto viene ricordata non solo come sede del luogo di culto, ma anche come luogo di residenza di una comunità di individui. Nel 163 a.C., Butrinto con la regione della Caonia, la Molossia e la Tesprozia, fa parte della confederazione dei Prasaiboi, nata sotto l’egida dei Romani aggregandosi attorno al santuario di Esculapio. Elevata nel 44 a.C. al rango di colonia da Cesare per ricompensare i veterani della guerra contro Pompeo, all’epoca di Virgilio la città era molto fiorente: sotto Augusto assunse il nome di Colonia Augusta Buthrotum e questa circostanza le valse ulteriori opportunità di crescita economica e sociale. Pomponio Attico, stretto amico di Cicerone, possedeva in una zona non distante una villa grandiosa dotata di un Amaltheion. Le mura di cinta sono in grandi blocchi squadrati, uniti da sagomature ad incastro e grappe metalliche e vi si aprono 7 porte. Negli ultimi tempi un’attenta lettura dei resti ha consentito di individuare due tracciati murari: il più ampio, forse più antico, circondava solo parzialmente l’acropoli e più che una funzione difensiva potrebbe aver svolto quella di terrazzamento, mentre il circuito più ristretto, costruito dopo il 500 a.C., sarebbe da interpretare come recinto sacro di un luogo di culto, testimoniato da un deposito votivo ritrovato alla fine degli anni ’30. Pertanto tutta l’acropoli in età arcaica sarebbe stata occupata da un’area sacra e da edifici di tipo non domestico.
Parco nazionale
Parco nazionale
fortezza ali pasha
Fortezza Ali Pasha
Butrinto-Porta-del-Leone
Butrinto - Porta del Leone
Tra i monumenti spicca il teatro, di prima età ellenistica addossato al pendio dell’acropoli, con i gradini della cavea intagliati direttamente nella rupe della collina, ancora molto ben conservati; romano invece è il frontescena in mattoni, articolato in arcate e nicchie che ospitavano statue. Tra queste figurava anche la celebre scultura detta “dea di Butrinto”, erroneamente ritenuta femminile, che è stata al centro di un’appassionante vicenda diplomatica tra l’Italia e l’Albania . Forse l’edificio di spettacolo era connesso al vicino sacello di Esculapio, una costruzione di età romana a forma di grotta, realizzata su un preesistente tempio greco. In una nicchia interna è stata trovata una ricca stipe votiva con oltre trecento doni dedicati al dio. Al di sopra del sacello si erge un altro tempietto e un portico a pilastri. Tutto l’insieme faceva parte del grande santuario a terrazze di Esculapio risalente al III-II sec. a.C. Nella zona del teatro si sviluppano le terme, costruite alla fine del II sec. d.C. e l’area del Foro, centro civico e commerciale della colonia.
ambiente termale
Ambiente termale
ninfeo
Ninfeo
basilica 2
Basilica
A testimoniare la floridezza della città in età romana rimangono oggi un grandioso ninfeo, vari impianti termali e i resti dell’acquedotto. Spiccano anche i resti del “ginnasio”, in realtà una struttura pubblica di incerta funzione, forse una biblioteca. Nel Medioevo fu trasformata in Chiesa. All’età tardoantica si può riportare il Palazzo delle tre absidi (Triconco), una prestigiosa dimora privata costruita nel IV sec. e ampliata in quello successivo- Di grande notorietà è il Battistero, in stile paleocristiano costituito da una sala circolare, già appartenuta a un impianto termale, con colonne in granito che compongono due cerchi concentrici. Tra il IV e il V secolo vi fu aggiunta al centro una vasca battesimale per il rito dell’immersione, a forma di croce greca, alimentata con acqua calda. Il pavimento è rivestito di uno straordinario mosaico policromo con motivi geometrici, vegetali e animali, e successive raffigurazioni simboliche cristiane. Alla dominazione veneziana vanno riferiti i rifacimenti delle mura, un castello nella parte alta e la grandiosa basilica paleocristiana a tre navate divise da alti muri.
teatro
Teatro
santuario Asclepio
Santuario di Asclepio
battistero1
Battistero

Approfondimenti

Informazioni aggiuntive

Per saperne di più

M. Melfi, “Butrinto:da santuario di Asclepio a centro federale”, in I processi formativi ed evolutivi della città in area adriatica (a cura di G. de Marinis, G.M. Fabrini, G. Paci, R. Perna, M. Silvestrini), BAR International Series 2419, Oxford 2012, pp. 123-130
J. Bogdani, “Le residenze rurali della Caonia ellenistica. Note per una nuova lettura”, in Agri centuriati 8-2011, Pisa- Roma, Fabrizio Serra Editore MMXII, pp.121-144

La città è strettamente legata al racconto del mitico viaggio di Enea, cantato da Virgilio nell’Eneide, come punto di arrivo dell’eroe troiano sulle coste laziali.
Secondo la tradizione ripresa da Virgilio, infatti, appena sbarcato Enea fece il primo sacrificio, in un luogo presso il fiume Numico (oggi Fosso di Pratica: Numico_1), dove poi sarebbe sorto un santuario dedicato a Sol Indiges. Inseguendo una scrofa bianca gravida, l’eroe percorse una distanza di 24 stadi: qui la scrofa partorì trenta piccoli e il prodigio offrì ad Enea un segno della volontà degli dei di fermarsi e fondare una nuova città. L’eroe incontrò Latino, il re della locale popolazione degli Aborigeni, il quale, dopo aver consultato un oracolo, capì che i nuovi arrivati non dovevano essere considerati degli invasori, ma come uomini amici da accogliere. Enea sposò dunque la figlia di Latino, Lavinia, e fondò la città di Lavinium, celebrando la nascita di un nuovo popolo, nato dalla fusione tra Troiani e Aborigeni: il popolo dei Latini. Il mito racconta che Enea non morì, ma scomparve in modo prodigioso tra le acque del fiume Numico e da questo evento fu onorato come Padre Indiges: Il padre capostipite.

La piazza pubblica della città aveva una pianta rettangolare, ornata sui lati lunghi da portici, su cui si aprivano diversi edifici: uno di questi aveva forse la funzione di “Augusteo”, luogo dedicato al culto imperiale, come sembra indicare il ritrovamento di splendidi ritratti degli imperatori Augusto, Tiberio e Claudio. Sul lato corto occidentale si affacciavano un edificio elevato su un podio, forse la Curia (luogo di riunione del governo locale), e un tempio, risalente ad età repubblicana.

Il santuario, situato ad est della città antica, era dedicato alla dea Minerva, che a Lavinium è dea guerriera, ma anche protettrice dei matrimoni e delle nascite. È stato trovato un enorme scarico di materiale votivo databile tra la fine del VII e gli inizi del III sec. a.C., costituito soprattutto da numerose statue in terracotta raffiguranti soprattutto offerenti, sia maschili che femminili, alcune a grandezza naturale, che donano alla divinità melograni, conigli, colombe, uova e soprattutto giocattoli: le offerte simboleggiano l’abbandono della fanciullezza e il passaggio all’età adulta attraverso il matrimonio


Eccezionale il ritrovamento di una statua della dea, armata di spada, elmo e scudo e affiancata da un Tritone, essere metà umano e metà pesce: questo elemento permettere di riconoscere nella raffigurazione la Minerva Tritonia venerata anche in Grecia, in Beozia, e ricordata da Viirgilio nell’Eneide (XI, 483): “armipotens, praeses belli, Tritonia virgo” (O dea della guerra, potente nelle armi, o vergine tritonia…)

Il culto del santuario meridionale nasce in età arcaica ed era caratterizzato da libagioni. Nella fase finale il culto si trasforma invece verso la richiesta di salute e guarigione, documentato dalle numerose offerte di ex voto anatomici. Sono state trovate iscrizioni di dedica che ricordano
Castore e Polluce (i Dioscuri) e la dea Cerere. La molteplicità degli altari e delle dediche è stata interpretata come testimonianza del carattere federale del culto, quindi legato al popolo latino nel suo insieme: ogni altare potrebbe forse rappresentare una delle città latine aderenti alla Lega Latina, confederazione che riuniva molte città del Latium Vetus, alleatesi per contrastare il predominio di Roma.

Dionigi di Alicarnasso, vissuto sotto il principato di Augusto, afferma di aver visto in questo luogo, ancora al suo tempo, nel I sec. a.C., due altari, il tempio dove erano stati posti gli dèi Penati portati da Troia e la tomba di Enea circondata da alberi: «Si tratta di un piccolo tumulo, intorno al quale sono stati posti file regolari di alberi, che vale la pena di vedere» (Ant. Rom. I, 64, 5)
Alba

Lavinium fu considerata anche il luogo delle origini del popolo romano: all’immagine di Roma nel momento della sua espansione e della crescita del suo potere era utile costruire una discendenza mitica da Enea, figlio di Venere, onorato per le sue virtù, per la capacità di assecondare gli dèi; di conseguenza si affermò anche la tradizione per la quale Romolo, il fondatore di Roma, aveva le sue origini, dopo quattro secoli, dalla medesima stirpe di Enea.
Secondo questa tradizione Ascanio Iulo, il figlio di Enea, aveva fondato Alba Longa, città posta presso l’attuale Albano, dando l’avvio a una dinastia, che serviva per colmare i quattrocento anni che separano le vicende di Enea (XII sec. a.C.) dalla fondazione di Roma (VIII se. a.C.), quando, dalla stessa stirpe, nacquero i gemelli Romolo e Remo, secondo la tradizione allattati da una lupa. Questi erano dunque i nipoti del re di Alba Longa. La madre era Rea Silvia e il padre il dio Marte. Romolo uccise Remo e poi fondò Roma nel 753 a.C. Lavinium diventava così la città sacra dei Romani, dove avevano sede i “sacri princìpi del popolo romano”.

Il Borgo sorge su una altura occupata nell’antichità dall’acropoli di Lavinium. In età imperiale vi sorge una domus, testimoniata da pavimenti in mosaico in bianco e nero (Borgo_1). Una civitas Pratica è ricordata per la prima volta in un documento del 1061, mentre nell’epoca successiva si parla di un castrum che fu di proprietà del Monastero di San Paolo fino al 1442. La Tenuta di Pratica di Mare, comprendente anche il Borgo, allora definito “Castello” (Borgo_2), divenne poi proprietà della famiglia Massimi e in seguito fu acquistata nel 1617 dai Borghese. Il principe Giovan Battista, nel tentativo di valorizzare il territorio con l’agricoltura, ristrutturò il villaggio nella forma che ancora oggi rimane, caratteristica per la sua pianta ortogonale e la sua unitarietà. Dalla metà dell’Ottocento la malaria, che devastava la campagna romana, causò lo spopolamento del borgo, finché Camillo Borghese dal 1880 si impegnò nell’opera di ricolonizzazione, restaurando il palazzo e intervenendo con una importante opera di riassetto della tenuta, dove fu impiantata una singolare vigna a pianta esagonale. Il Borgo e la tenuta rappresentano una preziosa area monumentale e agricola ancora intatta all’interno della zona degradata di Pomezia e Torvaianica.

IN BREVE

I resti di Buthrotos occupano l’area di un basso promontorio sulla riva occidentale di un lago salato costiero, il lago di Vivari, all’interno di un vasto Parco Nazionale. Oltre alle prime tracce di occupazione del X-VIII sec. a.C., nell’insieme essi offrono testimonianze stratificate dall’epoca illirica (IV sec. a.C.: mura e porte), a quella ellenistica (III sec. a.C.: teatro, santuario di Esculapio) e romana (terme, Foro, sacello di Apollo, ninfeo) fino al famoso battistero tardo-antico (IV-V sec. d.C.) e ad una grandiosa basilica paleocristiana (VI sec. d.C.). ll Castello sull’acropoli del periodo veneziano (XIV-XVI secolo) custodisce i reperti rinvenuti nel sito archeologico, il primo dell’Albania ad essere stato inserito nel 1992 dall’UNESCO nella lista dei beni Patrimonio mondiale dell’Umanità.

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