Antandros
Antandros
la scoperta
I primi tentativi di individuare il sito di Antandros risalgono a Schliemann, lo scopritore della leggendaria Troia, che aveva tentato la localizzazione del sito risalendo il Golfo di Edremit, sulle orme dell’ipotetico percorso della fuga di Enea da Troia. Successivamente il geografo Heinrich Kiepert nel 1842 scoprì una iscrizione con il nome della città riutilizzata nel muro di una moschea e poi alcune monete che riportavano la dicitura “ANT” : si convinse così che la città fosse situata sulla collina di Kaletaşı (o collina di Dervent, secondo il nome arcaico datole dalle genti del posto). Solo dal 2001 sono state avviate campagne di scavo sistematiche da una équipe di archeologi diretta dal Prof. Gürcan Polat, dell’Università dell’Egeo di Izmir, che ha identificato Antandros nel sito di Altinoluk, vicino Edremit . I reperti rinvenuti sono conservati al Museo Nazionale “Kuva-yi Milliye” di Balıkesir, ma è nei programmi del Comune di Edremit la creazione di un polo museale che raccolga i reperti del sito archaeologico di Antandros e delle altre campagne di scavo della zona.La città antica
Le origini della città greca sono ricondotte dagli storici antichi alle più diverse popolazioni: secondo lo storico Erodoto fu fondata dai Pelasgi, secondo Aristotele dai Traci, invece secondo Tucidide dagli Eoli. Lo stesso Tucidide racconta che durante la Guerra del Peloponneso, nel 424 a.C., Antandros fu conquistata dagli esuli di Lesbo. Alla fine del V sec. a.C. la città conobbe un breve periodo di indipendenza, ma a partire dal 409 passò sotto il dominio dei Persiani e il satrapo Farnabazo ne fece un arsenale per fornire navi agli alleati spartani. L’acropoli della città controllava l’importante asse di collegamento costiero fra Adramyttione e Assos. Finora sono stati portati in luce un settore delle mura della città e una straordinaria villa residenziale di epoca romana, costruita nel IV sec. e utilizzata fino al VI-VII d.C., che si estende su una spettacolare terrazza affacciata sul mare.IL MONTE IDA
Il Monte, che ha un omonimo sull’isola di Creta, è un protagonista dei racconti mitici, secondo i quali vi si stabilì Dardano, progenitore dei Troiani, oppure fu il teatro del famoso episodio del giudizio di Paride, che assegnò ad Afrodite il titolo di più bella fra tutte le dee; fu anche il luogo dove Zeus, trasformatosi in aquila, rapì Ganimede, il giovane di cui si era invaghito. Si dice che anche il cavallo di legno ideato da Ulisse, con il quale i Greci riuscirono a conquistare Troia, fosse fatto con il legno degli alberi del Monte Ida. Per questo l’albero endemico del Monte Ida è detto “Pino di Troia”. Parco Nazionale fin dal 1988, vanta nella sua flora 900 specie botaniche diverse con almeno 68 specie rare. Anche la fauna è ricchissima, con un grandissimo numero di cinghiali, lupi della prateria e volpi, e la regione è considerata un paradiso della caccia. Il Parco Nazionale del Monte Ida offre l’opportunità di svolgere molte attività come trekking nella foresta, mountain biking, jeep safari, equitazione, arrampicate, nuoto nei fiumi e nei laghi; ci sono anche molte aree attrezzate per soste e pic-nicApprofondimenti
Informazioni aggiuntiveEDREMIT
La città di Edremit è oggi un importante centro turistico balneare, noto per le sue acque termali curative, che sostengono un ampio turismo accolto nelle sue numerose strutture alberghiere, che offrono massaggi, piscine termali, saune, bagni turchi. Famosa anche la produzione dell’olio di ottima qualità, che rappresenta il 7% del totale della produzione della Turchia.
La città è strettamente legata al racconto del mitico viaggio di Enea, cantato da Virgilio nell’Eneide, come punto di arrivo dell’eroe troiano sulle coste laziali.
Secondo la tradizione ripresa da Virgilio, infatti, appena sbarcato Enea fece il primo sacrificio, in un luogo presso il fiume Numico (oggi Fosso di Pratica: Numico_1), dove poi sarebbe sorto un santuario dedicato a Sol Indiges. Inseguendo una scrofa bianca gravida, l’eroe percorse una distanza di 24 stadi: qui la scrofa partorì trenta piccoli e il prodigio offrì ad Enea un segno della volontà degli dei di fermarsi e fondare una nuova città. L’eroe incontrò Latino, il re della locale popolazione degli Aborigeni, il quale, dopo aver consultato un oracolo, capì che i nuovi arrivati non dovevano essere considerati degli invasori, ma come uomini amici da accogliere. Enea sposò dunque la figlia di Latino, Lavinia, e fondò la città di Lavinium, celebrando la nascita di un nuovo popolo, nato dalla fusione tra Troiani e Aborigeni: il popolo dei Latini. Il mito racconta che Enea non morì, ma scomparve in modo prodigioso tra le acque del fiume Numico e da questo evento fu onorato come Padre Indiges: Il padre capostipite.
La piazza pubblica della città aveva una pianta rettangolare, ornata sui lati lunghi da portici, su cui si aprivano diversi edifici: uno di questi aveva forse la funzione di “Augusteo”, luogo dedicato al culto imperiale, come sembra indicare il ritrovamento di splendidi ritratti degli imperatori Augusto, Tiberio e Claudio. Sul lato corto occidentale si affacciavano un edificio elevato su un podio, forse la Curia (luogo di riunione del governo locale), e un tempio, risalente ad età repubblicana.
Il santuario, situato ad est della città antica, era dedicato alla dea Minerva, che a Lavinium è dea guerriera, ma anche protettrice dei matrimoni e delle nascite. È stato trovato un enorme scarico di materiale votivo databile tra la fine del VII e gli inizi del III sec. a.C., costituito soprattutto da numerose statue in terracotta raffiguranti soprattutto offerenti, sia maschili che femminili, alcune a grandezza naturale, che donano alla divinità melograni, conigli, colombe, uova e soprattutto giocattoli: le offerte simboleggiano l’abbandono della fanciullezza e il passaggio all’età adulta attraverso il matrimonio
Eccezionale il ritrovamento di una statua della dea, armata di spada, elmo e scudo e affiancata da un Tritone, essere metà umano e metà pesce: questo elemento permettere di riconoscere nella raffigurazione la Minerva Tritonia venerata anche in Grecia, in Beozia, e ricordata da Viirgilio nell’Eneide (XI, 483): “armipotens, praeses belli, Tritonia virgo” (O dea della guerra, potente nelle armi, o vergine tritonia…)
Il culto del santuario meridionale nasce in età arcaica ed era caratterizzato da libagioni. Nella fase finale il culto si trasforma invece verso la richiesta di salute e guarigione, documentato dalle numerose offerte di ex voto anatomici. Sono state trovate iscrizioni di dedica che ricordano
Castore e Polluce (i Dioscuri) e la dea Cerere. La molteplicità degli altari e delle dediche è stata interpretata come testimonianza del carattere federale del culto, quindi legato al popolo latino nel suo insieme: ogni altare potrebbe forse rappresentare una delle città latine aderenti alla Lega Latina, confederazione che riuniva molte città del Latium Vetus, alleatesi per contrastare il predominio di Roma.
Dionigi di Alicarnasso, vissuto sotto il principato di Augusto, afferma di aver visto in questo luogo, ancora al suo tempo, nel I sec. a.C., due altari, il tempio dove erano stati posti gli dèi Penati portati da Troia e la tomba di Enea circondata da alberi: «Si tratta di un piccolo tumulo, intorno al quale sono stati posti file regolari di alberi, che vale la pena di vedere» (Ant. Rom. I, 64, 5)
Alba
Lavinium fu considerata anche il luogo delle origini del popolo romano: all’immagine di Roma nel momento della sua espansione e della crescita del suo potere era utile costruire una discendenza mitica da Enea, figlio di Venere, onorato per le sue virtù, per la capacità di assecondare gli dèi; di conseguenza si affermò anche la tradizione per la quale Romolo, il fondatore di Roma, aveva le sue origini, dopo quattro secoli, dalla medesima stirpe di Enea.
Secondo questa tradizione Ascanio Iulo, il figlio di Enea, aveva fondato Alba Longa, città posta presso l’attuale Albano, dando l’avvio a una dinastia, che serviva per colmare i quattrocento anni che separano le vicende di Enea (XII sec. a.C.) dalla fondazione di Roma (VIII se. a.C.), quando, dalla stessa stirpe, nacquero i gemelli Romolo e Remo, secondo la tradizione allattati da una lupa. Questi erano dunque i nipoti del re di Alba Longa. La madre era Rea Silvia e il padre il dio Marte. Romolo uccise Remo e poi fondò Roma nel 753 a.C. Lavinium diventava così la città sacra dei Romani, dove avevano sede i “sacri princìpi del popolo romano”.
Il Borgo sorge su una altura occupata nell’antichità dall’acropoli di Lavinium. In età imperiale vi sorge una domus, testimoniata da pavimenti in mosaico in bianco e nero (Borgo_1). Una civitas Pratica è ricordata per la prima volta in un documento del 1061, mentre nell’epoca successiva si parla di un castrum che fu di proprietà del Monastero di San Paolo fino al 1442. La Tenuta di Pratica di Mare, comprendente anche il Borgo, allora definito “Castello” (Borgo_2), divenne poi proprietà della famiglia Massimi e in seguito fu acquistata nel 1617 dai Borghese. Il principe Giovan Battista, nel tentativo di valorizzare il territorio con l’agricoltura, ristrutturò il villaggio nella forma che ancora oggi rimane, caratteristica per la sua pianta ortogonale e la sua unitarietà. Dalla metà dell’Ottocento la malaria, che devastava la campagna romana, causò lo spopolamento del borgo, finché Camillo Borghese dal 1880 si impegnò nell’opera di ricolonizzazione, restaurando il palazzo e intervenendo con una importante opera di riassetto della tenuta, dove fu impiantata una singolare vigna a pianta esagonale. Il Borgo e la tenuta rappresentano una preziosa area monumentale e agricola ancora intatta all’interno della zona degradata di Pomezia e Torvaianica.
Per saperne di più
G. Polat, Antandros, 2001
B. Burrell, Neokoroi. Greek Cities and Roman Emperors, Leiden-Boston 2004
IN BREVE
I Troiani guidati da Enea, fuggiti da Troia in fiamme, arrivano ad Antandros, alle falde del Monte Ida, e lì costruiscono le navi che li porteranno in Italia. Dell' antica città, oltre alla necropoli si conoscono solo le mura e una straordinaria villa tardo-antica affacciata sul mare, ma è intensa la suggestione del luogo, a dominio del golfo immerso fra i boschi del Monte Ida sacro a Cibele da cui iniziò, ad un anno dall’incendio, il lungo viaggio dei profughi troiani.
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